Questo saggio ha per oggetto l’analisi incrociata di due film, scarsamente considerati dalla storiografia italiana sul documentario. Il primo è il progetto, curato da Cesare Zavattini, intitolato "Le italiane e l’amore" (1962, Baldi, Ferreri, Macchi, Maselli, Mazzetti, Mingozzi, Musso, Nelli, Questi, Risi, Vancini). Pur trattandosi apparentemente di un’opera di finzione, il film è composto da undici episodi, ognuno girato da un regista diverso, ispirati a casi realmente accaduti e tratti dalle lettere inviate ai rotocalchi dalle lettrici, già raccolte e discusse da Gabriella Parca nel suo libro "Le italiane si confessano" (1959). A questo proposito, l’ipotesi di partenza è che sia proprio l’elemento della piccola posta a conferire un valore testimoniale e documentale ai singoli episodi, in una relazione tra cinema e rotocalchi che ispirerà diversi casi successivi. Tra questi, il saggio prenderà in esame un altro film, uscito l’anno seguente, intitolato "In Italia si chiama amore" (1963, Sabel), tratto da un’inchiesta di Italo Dragosei. Altro modello cinematograficamente ibrido, il film di Virgilio Sabel, scritto con Pasquale Festa Campanile e Luigi Magni, rappresenta un momento di passaggio tra l’estetica dell’inchiesta televisiva, sperimentata e perfezionata proprio in quegli anni, che anticipa esperienze successive, certamente più note, come "Comizi d’amore" (1965, Pasolini), e una costruzione narrativa finzionale vicina al film a episodi. Questa ibridazione ha quindi agevolato l'esplosione del lungometraggio documentario lungo tutto il decennio; allo stesso modo, essa si lega a esiti successivi, come il filone dei cosiddetti mondo movies, su cui, come si vedrà, la letteratura specialistica si è già concentrata, con particolare riferimento alla caratteristica mescolanza di finzione, ricostruzione e realtà. Incrociando l’analisi estetico-linguistica di questi due film con quella dei discorsi generati e intercettati dall’inchiesta in quegli anni – e allo stesso tempo contestualizzando le due opere all’interno di un movimento sociale, culturale e cinematografico più ampio –, il saggio vorrebbe problematizzare il rapporto tra reale e finzione in questa forma di documentario ibrido, nel quale il valore testimoniale sembra essere conferito da elementi paratestuali, non necessariamente visibili, ma a cui viene attribuito un forte valore documentale.

Garofalo, D., Missero, D., Tra spettacolo e documento. Rotocalchi, piccola posta e inchieste di cronaca nei documentari italiani sull'amore dei primi anni sessanta, <<IMAGO>>, 2017; (15): 145-161 [http://hdl.handle.net/10807/122320]

Tra spettacolo e documento. Rotocalchi, piccola posta e inchieste di cronaca nei documentari italiani sull'amore dei primi anni sessanta

Garofalo, Damiano;
2017

Abstract

Questo saggio ha per oggetto l’analisi incrociata di due film, scarsamente considerati dalla storiografia italiana sul documentario. Il primo è il progetto, curato da Cesare Zavattini, intitolato "Le italiane e l’amore" (1962, Baldi, Ferreri, Macchi, Maselli, Mazzetti, Mingozzi, Musso, Nelli, Questi, Risi, Vancini). Pur trattandosi apparentemente di un’opera di finzione, il film è composto da undici episodi, ognuno girato da un regista diverso, ispirati a casi realmente accaduti e tratti dalle lettere inviate ai rotocalchi dalle lettrici, già raccolte e discusse da Gabriella Parca nel suo libro "Le italiane si confessano" (1959). A questo proposito, l’ipotesi di partenza è che sia proprio l’elemento della piccola posta a conferire un valore testimoniale e documentale ai singoli episodi, in una relazione tra cinema e rotocalchi che ispirerà diversi casi successivi. Tra questi, il saggio prenderà in esame un altro film, uscito l’anno seguente, intitolato "In Italia si chiama amore" (1963, Sabel), tratto da un’inchiesta di Italo Dragosei. Altro modello cinematograficamente ibrido, il film di Virgilio Sabel, scritto con Pasquale Festa Campanile e Luigi Magni, rappresenta un momento di passaggio tra l’estetica dell’inchiesta televisiva, sperimentata e perfezionata proprio in quegli anni, che anticipa esperienze successive, certamente più note, come "Comizi d’amore" (1965, Pasolini), e una costruzione narrativa finzionale vicina al film a episodi. Questa ibridazione ha quindi agevolato l'esplosione del lungometraggio documentario lungo tutto il decennio; allo stesso modo, essa si lega a esiti successivi, come il filone dei cosiddetti mondo movies, su cui, come si vedrà, la letteratura specialistica si è già concentrata, con particolare riferimento alla caratteristica mescolanza di finzione, ricostruzione e realtà. Incrociando l’analisi estetico-linguistica di questi due film con quella dei discorsi generati e intercettati dall’inchiesta in quegli anni – e allo stesso tempo contestualizzando le due opere all’interno di un movimento sociale, culturale e cinematografico più ampio –, il saggio vorrebbe problematizzare il rapporto tra reale e finzione in questa forma di documentario ibrido, nel quale il valore testimoniale sembra essere conferito da elementi paratestuali, non necessariamente visibili, ma a cui viene attribuito un forte valore documentale.
2017
Italiano
Garofalo, D., Missero, D., Tra spettacolo e documento. Rotocalchi, piccola posta e inchieste di cronaca nei documentari italiani sull'amore dei primi anni sessanta, <<IMAGO>>, 2017; (15): 145-161 [http://hdl.handle.net/10807/122320]
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