Nell’epoca della globalizzazione spinta e del cosiddetto ‘info-capitalismo’ (che hanno trionfato dopo la caduta del muro) anche l’università è cambiata. L’università, non solo si è posta come driver di sviluppo postindustriale (creazione di nuove attività terziarie e quaternarie), ma ha anche dato forte enfasi alla ricerca applicata alla produzione, all’innovazione e al trasferimento tecnologico. Si è così sviluppata una competizione spinta, tra università, per attrarre studenti e finanziamenti e una interazione diretta, delle università, con imprese e governi, centrali e locali (la famosa ‘tripla elica’ teorizzata da Etzkowitz e Leydesdorff nel 1997), per creare nuove attività locali, senza badare troppo al rischio di perdita della sua identità e della sua missione principale. A seguito di questi processi, oggi l’università è forse meno autonoma che in passato nel senso di meno dedita alla sua libera ed indipendente missione storica di costruzione e diffusione di sapere e conoscenza non immediatamente finalizzati ad uno scopo utilitaristico. È, conseguentemente, più centralizzata e controllata, nelle performance, a livello nazionale (per esempio con le pratiche valutative dell’ANVUR) ed è più verticalizzata ed omologata al suo interno (meno dipartimenti e più generalisti). La ‘terza dimensione’ ha perso smalto e la ‘terza missione’ è diventata essenzialmente ricerca di finanziamenti sul territorio per ricerche di nicchia. Le università, cercando di diventare partner strategici di imprese e settori delle tecnologie avanzate, hanno dismesso studi e corsi nelle scienze meno attrattive come quelle sociali, ma anche nelle scienze di base e nella ricerca interdisciplinare, considerati poco utili o troppo problematici. La terza dimensione, quando sopravvive, viene poco a poco dismessa o trascurata. Nell’Università di Udine, prima a seguito della applicazione della legge 240/2010 (legge Gelmini) e poi per scelte strategiche interne, tutti i dipartimenti territoriali formatisi negli anni ottanta sono stati chiusi ed assorbiti in dipartimenti più grandi e generalisti. Nei rapporti con il territorio rischiano inevitabilmente di trascurare i contatti con le attività tradizionali, con il mondo del lavoro, con i valori sociali e culturali, con le comunità locali compromettendo, in questo modo – soprattutto se si tratta di territori che si collocano tra i ‘perdenti’ della globalizzazione –, la stessa capacità dei territori di rigenerare le loro economie. Le università locali sono dunque al bivio tra identità ed omologazione: in piena grande crisi, il dilemma delle piccole e medie università è oggi come collocarsi tra difesa dell’identità – col rischio di perdere contatti con il business – da una parte, ed omologazione – con il rischio di perdere le proprie specificità e qualità differenziali – dall’altra. La terza dimensione rischia di contrarsi ulteriormente o di essere interpretata solo come un utilitaristico ‘trasferimento tecnologico’. Ma la crisi ha anche cambiato molti altri parametri. Ha, in pochi anni, cambiato i connotati al mondo ed ai territori. C’è un ordine mondiale da ricostruire; una temperatura globale da controllare; un crescente invecchiamento della popolazione da fronteggiare; nuove grandi diseguaglianze, anche intergenerazionali, da gestire, ecc. La terza dimensione nelle Università torna ad avere un ruolo cruciale poiché, tutte le grandi crisi globali che abbiamo citato, implicano certamente grandi accordi internazionali, ma implicano poi anche migliaia e migliaia di piani e azioni virtuose locali promosse da classi dirigenti capaci e responsabili. Agli atenei locali può spettare allora un ruolo di ‘leader intellettuali’ del territorio se non altro perché quelli veri mancano ormai da tempo. Le società locali, da sole, faticano ad esprimere classi dirigenti qualificate e credibili. Sono state spesso abbandonate anche dai loro ‘rappresentanti’ politici nei parlamenti nazionali per ragioni legate all’impoverimento della politica e della democrazia rappresentativa. Le città hanno ancora dei ceti urbani sufficientemente attivi, creativi ed autonomi. Ma chi delinea scenari credibili e condivisi per i più vasti territori e ceti sociali? Chi elabora visioni ad alto contenuto di beni pubblici, di fiducia, di speranza? L’aziendalizzazione spinta ha, per così dire, neutralizzato e sterilizzato l’università rispetto al suo territorio di riferimento. L’ha ‘deterritorializzata’. Senza università, il territorio è lasciato a sé stesso e le università, senza il territorio, sono ridotte ad assomigliarsi tutte e, quindi, a far inevitabilmente primeggiare quelle più grandi e con lunga e prestigiosa tradizione. Le università locali hanno un futuro se, invece di buttarsi in una cieca competizione per attrarre qualche risorsa aggiuntiva dallo Stato o dal mercato, recuperano e rilanciano la terza dimensione, se diventano leader intellettuali e della rinascita, anche sociale ed economica, dei loro territori.

L’università oltre la grande crisi: da ‘azienda neofordista’ a leader intellettuale del territorio

Sandro Fabbro
2019-01-01

Abstract

Nell’epoca della globalizzazione spinta e del cosiddetto ‘info-capitalismo’ (che hanno trionfato dopo la caduta del muro) anche l’università è cambiata. L’università, non solo si è posta come driver di sviluppo postindustriale (creazione di nuove attività terziarie e quaternarie), ma ha anche dato forte enfasi alla ricerca applicata alla produzione, all’innovazione e al trasferimento tecnologico. Si è così sviluppata una competizione spinta, tra università, per attrarre studenti e finanziamenti e una interazione diretta, delle università, con imprese e governi, centrali e locali (la famosa ‘tripla elica’ teorizzata da Etzkowitz e Leydesdorff nel 1997), per creare nuove attività locali, senza badare troppo al rischio di perdita della sua identità e della sua missione principale. A seguito di questi processi, oggi l’università è forse meno autonoma che in passato nel senso di meno dedita alla sua libera ed indipendente missione storica di costruzione e diffusione di sapere e conoscenza non immediatamente finalizzati ad uno scopo utilitaristico. È, conseguentemente, più centralizzata e controllata, nelle performance, a livello nazionale (per esempio con le pratiche valutative dell’ANVUR) ed è più verticalizzata ed omologata al suo interno (meno dipartimenti e più generalisti). La ‘terza dimensione’ ha perso smalto e la ‘terza missione’ è diventata essenzialmente ricerca di finanziamenti sul territorio per ricerche di nicchia. Le università, cercando di diventare partner strategici di imprese e settori delle tecnologie avanzate, hanno dismesso studi e corsi nelle scienze meno attrattive come quelle sociali, ma anche nelle scienze di base e nella ricerca interdisciplinare, considerati poco utili o troppo problematici. La terza dimensione, quando sopravvive, viene poco a poco dismessa o trascurata. Nell’Università di Udine, prima a seguito della applicazione della legge 240/2010 (legge Gelmini) e poi per scelte strategiche interne, tutti i dipartimenti territoriali formatisi negli anni ottanta sono stati chiusi ed assorbiti in dipartimenti più grandi e generalisti. Nei rapporti con il territorio rischiano inevitabilmente di trascurare i contatti con le attività tradizionali, con il mondo del lavoro, con i valori sociali e culturali, con le comunità locali compromettendo, in questo modo – soprattutto se si tratta di territori che si collocano tra i ‘perdenti’ della globalizzazione –, la stessa capacità dei territori di rigenerare le loro economie. Le università locali sono dunque al bivio tra identità ed omologazione: in piena grande crisi, il dilemma delle piccole e medie università è oggi come collocarsi tra difesa dell’identità – col rischio di perdere contatti con il business – da una parte, ed omologazione – con il rischio di perdere le proprie specificità e qualità differenziali – dall’altra. La terza dimensione rischia di contrarsi ulteriormente o di essere interpretata solo come un utilitaristico ‘trasferimento tecnologico’. Ma la crisi ha anche cambiato molti altri parametri. Ha, in pochi anni, cambiato i connotati al mondo ed ai territori. C’è un ordine mondiale da ricostruire; una temperatura globale da controllare; un crescente invecchiamento della popolazione da fronteggiare; nuove grandi diseguaglianze, anche intergenerazionali, da gestire, ecc. La terza dimensione nelle Università torna ad avere un ruolo cruciale poiché, tutte le grandi crisi globali che abbiamo citato, implicano certamente grandi accordi internazionali, ma implicano poi anche migliaia e migliaia di piani e azioni virtuose locali promosse da classi dirigenti capaci e responsabili. Agli atenei locali può spettare allora un ruolo di ‘leader intellettuali’ del territorio se non altro perché quelli veri mancano ormai da tempo. Le società locali, da sole, faticano ad esprimere classi dirigenti qualificate e credibili. Sono state spesso abbandonate anche dai loro ‘rappresentanti’ politici nei parlamenti nazionali per ragioni legate all’impoverimento della politica e della democrazia rappresentativa. Le città hanno ancora dei ceti urbani sufficientemente attivi, creativi ed autonomi. Ma chi delinea scenari credibili e condivisi per i più vasti territori e ceti sociali? Chi elabora visioni ad alto contenuto di beni pubblici, di fiducia, di speranza? L’aziendalizzazione spinta ha, per così dire, neutralizzato e sterilizzato l’università rispetto al suo territorio di riferimento. L’ha ‘deterritorializzata’. Senza università, il territorio è lasciato a sé stesso e le università, senza il territorio, sono ridotte ad assomigliarsi tutte e, quindi, a far inevitabilmente primeggiare quelle più grandi e con lunga e prestigiosa tradizione. Le università locali hanno un futuro se, invece di buttarsi in una cieca competizione per attrarre qualche risorsa aggiuntiva dallo Stato o dal mercato, recuperano e rilanciano la terza dimensione, se diventano leader intellettuali e della rinascita, anche sociale ed economica, dei loro territori.
2019
978-88-3283-158-0
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11390/1169457
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