La tesi si occupa del Roman de Renart, in particolare della sua struttura che lega e separa i testi ori-ginariamente indipendenti e poi confluiti nelle raccolte due e trecentesche. Più che la descrizione di questa struttura a cui la critica ha già dedicato molti studi, l’interesse della ricerca verte sulle cause che l’hanno determinata e sui rapporti paradigmatici che legano il RdR ad altre espressioni del ge-nere zooepico. La struttura del RdR è il risultato della coesistenza di tratti che tendono alla coesione (stessi perso-naggi e nomi propri, stesse ambientazioni, innesto su una comune tradizione folklorica, intento pa-rodico ecc.) con elementi che invece ne impediscono la sistemazione armonizzata in ciclo (diversità degli autori, variabile estensione dei testi, intertestualità non pertinente). Nei 4 capitoli della tesi ho cercato le cause di questa forma particolare che rende il RdR un genere intermedio tra il ciclo strut-turato e la raccolta di testi indipendenti. La prima parte è dedicata alla fase di produzione del testo e comprende l’indagine di tre procedi-menti comuni a diversi autori del RdR: l’uso di motivi ricorrenti e di formule stereotipate e il ricorso a frequenti allusioni che creano legami intertestuali tra le branches. Un motivo come la «finta morte», per esempio, ricorre 14 volte in 12 branches diverse: la volpe per sfuggire a un attacco si cosparge di terra e simula la morte. Il motivo è presente nel patrimonio folklorico internazionale e catalogato nel repertorio ATU al numero K1860: «deception by feigned death». La storia millenaria e di amplissima estensione geografica di questo motivo che dal patrimonio folklorico internazionale, attraverso i Bestiari latini e romanzi confluisce nel RdR, consente di instaurare legami di tipo trasversale: dalla tradizione del racconto zoomorfico ai poeti renardiani e tra vari autori delle bran-ches. Tali legami sono rafforzati dall’uso di formule tipizzate come «Or est Renart en male trape» che ricorre 35 volte nelle 27 branches dell’ed. Martin e che struttura la narrazione in segmenti fa-cilmente individuabili. Sia i motivi che le formule si concentrano in un nucleo di testi (br. I-XVII), mentre nel restante gruppo (br. XVIII-XXVII) tali procedimenti si fanno sempre più rari sino al di-leguo. Questa diversa concentrazione si registra anche nell’indagine sull’intertestualità: le allusioni tra una branche e l’altra contribuiscono a rendere il RdR un’opera ben più coesa delle raccolte di testi narrativi. Eppure il fenomeno è sempre stato trattato come strumento per l’interpretazione di altri aspetti (cronologia relativa delle branches per esempio). Qui invece le circa 120 citazioni sono prima catalogate e poi analizzate per constatare che spesso si dimostrano poco precise: in molti casi se un autore allude a un episodio raccontato altrove, difficilmente l’allusione si dimostra pertinente; spesso cambiano i dettagli o i personaggi e persino le sequenze dell’azione. Le incongruenze sono tali da escludere che un autore, citando un episodio, si riferisca al testo in cui qualcun altro lo aveva raccontato: piuttosto essi richiamano scene note dell’epopea renardiana, alcune delle quali non sono neanche mai entrate a far parte delle raccolte. Lungi dal costituire indizi affidabili per la ricostru-zione della cronologia delle branches, le allusioni sembrano essere espedienti inseriti nei testi per un altro motivo. Il motivo potrebbe essere legato a un fattore di ordine pratico; questa è l’ipotesi avanzata nel capito-lo 3 dove, ripercorrendo gli studi sull’oralità, si provano ad applicare i risultati emersi dalle discus-sioni sulle origini dell’epica al RdR. L’esecuzione orale doveva essere il mezzo di diffusione anche delle nostre branches. Le allusioni sono interpretate come una forma particolare di annonce o rappel, espedienti tipici dell’oralità che Rychner individuò nelle chansons de geste quali mezzi utili al giullare per mantenere alta l’attenzione del pubblico e tenerlo costantemente aggiornato sullo svol-gimento della storia. Avanzo dunque l’ipotesi che la struttura del RdR sia determinata dalle modali-tà di esecuzione del testo: la ripetizione di motivi e formule e le allusioni intertestuali rientrano in una pratica compositiva fortemente influenzata dalla destinazione orale dei testi. Nel capitolo 4 si passano in rassegna i testimoni del RdR: una breve descrizione delle 14 raccolte antologiche e delle 19 testimonianze parziali serve da introduzione per ripercorrere le strade che hanno portato critici ed editori alla ricostruzione dell’archetipo di tutti i testimoni. Quella che viene definita la ’prima edizione del RdR’ è una raccolta, non pervenuta, contenente 16 branches (br. I-XVII, esclusa la XIII) giustapposte tra loro senza un ordine causale. La domanda cui si tenta di rispondere è: a chi poteva servire un libro del genere? La risposta che si propone è che un simile libro potesse essere il manoscritto di un giullare. Infine si propone una ricostruzione della storia del RdR: a partire dal 1175 circa, un gruppo di poeti mise per iscritto alcune storie circolanti (oralmente o nelle fonti letterarie mediolatine) sulla volpe. Queste erano indipendenti tra loro, ma s’innestavano su una tradizione comune a tutti gli autori, la tradizione della zooepica, genere antichissimo che ha per protagonisti animali parlanti e che mette in scena il conflitto eterno tra la figura dello sciocco e quella dell’astuto. Verso la fine del XII secolo, un giullare, nell’intento di costruire un proprio repertorio, realizzò quella che viene chiamata ‘la prima edizione del RdR’ costituita da 16 branches giustapposte tra lo-ro. L’esecuzione, infatti, prevede la declamazione di un testo per volta e la successione degli episodi non importa, così come non importa la pertinenza delle allusioni dato che il pubblico non avrebbe potuto verificarne la congruenza. Le allusioni servono però al giullare per tenere viva l’attenzione del pubblico (tramite annunci e richiami) e per pubblicizzare il proprio repertorio. I compositori delle branches, consapevoli della destinazione dei propri testi, inseriscono tali espedienti sapendo che sarebbero tornati utili a chi li divulgava. Ne consegue che le branches del secondo gruppo erano probabilmente composte per una diversa destinazione. Quando le storie su Renart non riscuotono più tanto successo tra il pubblico dei giullari, diventano testi degni di essere conservati e tramandati come documenti letterari: è a questo punto (inizi del XIII sec.) che entrano a far parte di antologie in cui i vari récits cercano una sistemazione il più pos-sibile lineare non trovandola mai perché il RdR non era nato per essere un ciclo. Le raccolte manoscritte racchiudono almeno due fasi del RdR: una prima caratterizzata dalla moda-lità di esecuzione orale e una seconda in cui i testi sono composti per essere letti nelle raccolte.

Il genere zooepico tra "raccolta" e "ciclo": un'indagine sul Roman de Renart.

LACANALE, Marcella
2014-01-01

Abstract

La tesi si occupa del Roman de Renart, in particolare della sua struttura che lega e separa i testi ori-ginariamente indipendenti e poi confluiti nelle raccolte due e trecentesche. Più che la descrizione di questa struttura a cui la critica ha già dedicato molti studi, l’interesse della ricerca verte sulle cause che l’hanno determinata e sui rapporti paradigmatici che legano il RdR ad altre espressioni del ge-nere zooepico. La struttura del RdR è il risultato della coesistenza di tratti che tendono alla coesione (stessi perso-naggi e nomi propri, stesse ambientazioni, innesto su una comune tradizione folklorica, intento pa-rodico ecc.) con elementi che invece ne impediscono la sistemazione armonizzata in ciclo (diversità degli autori, variabile estensione dei testi, intertestualità non pertinente). Nei 4 capitoli della tesi ho cercato le cause di questa forma particolare che rende il RdR un genere intermedio tra il ciclo strut-turato e la raccolta di testi indipendenti. La prima parte è dedicata alla fase di produzione del testo e comprende l’indagine di tre procedi-menti comuni a diversi autori del RdR: l’uso di motivi ricorrenti e di formule stereotipate e il ricorso a frequenti allusioni che creano legami intertestuali tra le branches. Un motivo come la «finta morte», per esempio, ricorre 14 volte in 12 branches diverse: la volpe per sfuggire a un attacco si cosparge di terra e simula la morte. Il motivo è presente nel patrimonio folklorico internazionale e catalogato nel repertorio ATU al numero K1860: «deception by feigned death». La storia millenaria e di amplissima estensione geografica di questo motivo che dal patrimonio folklorico internazionale, attraverso i Bestiari latini e romanzi confluisce nel RdR, consente di instaurare legami di tipo trasversale: dalla tradizione del racconto zoomorfico ai poeti renardiani e tra vari autori delle bran-ches. Tali legami sono rafforzati dall’uso di formule tipizzate come «Or est Renart en male trape» che ricorre 35 volte nelle 27 branches dell’ed. Martin e che struttura la narrazione in segmenti fa-cilmente individuabili. Sia i motivi che le formule si concentrano in un nucleo di testi (br. I-XVII), mentre nel restante gruppo (br. XVIII-XXVII) tali procedimenti si fanno sempre più rari sino al di-leguo. Questa diversa concentrazione si registra anche nell’indagine sull’intertestualità: le allusioni tra una branche e l’altra contribuiscono a rendere il RdR un’opera ben più coesa delle raccolte di testi narrativi. Eppure il fenomeno è sempre stato trattato come strumento per l’interpretazione di altri aspetti (cronologia relativa delle branches per esempio). Qui invece le circa 120 citazioni sono prima catalogate e poi analizzate per constatare che spesso si dimostrano poco precise: in molti casi se un autore allude a un episodio raccontato altrove, difficilmente l’allusione si dimostra pertinente; spesso cambiano i dettagli o i personaggi e persino le sequenze dell’azione. Le incongruenze sono tali da escludere che un autore, citando un episodio, si riferisca al testo in cui qualcun altro lo aveva raccontato: piuttosto essi richiamano scene note dell’epopea renardiana, alcune delle quali non sono neanche mai entrate a far parte delle raccolte. Lungi dal costituire indizi affidabili per la ricostru-zione della cronologia delle branches, le allusioni sembrano essere espedienti inseriti nei testi per un altro motivo. Il motivo potrebbe essere legato a un fattore di ordine pratico; questa è l’ipotesi avanzata nel capito-lo 3 dove, ripercorrendo gli studi sull’oralità, si provano ad applicare i risultati emersi dalle discus-sioni sulle origini dell’epica al RdR. L’esecuzione orale doveva essere il mezzo di diffusione anche delle nostre branches. Le allusioni sono interpretate come una forma particolare di annonce o rappel, espedienti tipici dell’oralità che Rychner individuò nelle chansons de geste quali mezzi utili al giullare per mantenere alta l’attenzione del pubblico e tenerlo costantemente aggiornato sullo svol-gimento della storia. Avanzo dunque l’ipotesi che la struttura del RdR sia determinata dalle modali-tà di esecuzione del testo: la ripetizione di motivi e formule e le allusioni intertestuali rientrano in una pratica compositiva fortemente influenzata dalla destinazione orale dei testi. Nel capitolo 4 si passano in rassegna i testimoni del RdR: una breve descrizione delle 14 raccolte antologiche e delle 19 testimonianze parziali serve da introduzione per ripercorrere le strade che hanno portato critici ed editori alla ricostruzione dell’archetipo di tutti i testimoni. Quella che viene definita la ’prima edizione del RdR’ è una raccolta, non pervenuta, contenente 16 branches (br. I-XVII, esclusa la XIII) giustapposte tra loro senza un ordine causale. La domanda cui si tenta di rispondere è: a chi poteva servire un libro del genere? La risposta che si propone è che un simile libro potesse essere il manoscritto di un giullare. Infine si propone una ricostruzione della storia del RdR: a partire dal 1175 circa, un gruppo di poeti mise per iscritto alcune storie circolanti (oralmente o nelle fonti letterarie mediolatine) sulla volpe. Queste erano indipendenti tra loro, ma s’innestavano su una tradizione comune a tutti gli autori, la tradizione della zooepica, genere antichissimo che ha per protagonisti animali parlanti e che mette in scena il conflitto eterno tra la figura dello sciocco e quella dell’astuto. Verso la fine del XII secolo, un giullare, nell’intento di costruire un proprio repertorio, realizzò quella che viene chiamata ‘la prima edizione del RdR’ costituita da 16 branches giustapposte tra lo-ro. L’esecuzione, infatti, prevede la declamazione di un testo per volta e la successione degli episodi non importa, così come non importa la pertinenza delle allusioni dato che il pubblico non avrebbe potuto verificarne la congruenza. Le allusioni servono però al giullare per tenere viva l’attenzione del pubblico (tramite annunci e richiami) e per pubblicizzare il proprio repertorio. I compositori delle branches, consapevoli della destinazione dei propri testi, inseriscono tali espedienti sapendo che sarebbero tornati utili a chi li divulgava. Ne consegue che le branches del secondo gruppo erano probabilmente composte per una diversa destinazione. Quando le storie su Renart non riscuotono più tanto successo tra il pubblico dei giullari, diventano testi degni di essere conservati e tramandati come documenti letterari: è a questo punto (inizi del XIII sec.) che entrano a far parte di antologie in cui i vari récits cercano una sistemazione il più pos-sibile lineare non trovandola mai perché il RdR non era nato per essere un ciclo. Le raccolte manoscritte racchiudono almeno due fasi del RdR: una prima caratterizzata dalla moda-lità di esecuzione orale e una seconda in cui i testi sono composti per essere letti nelle raccolte.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/192692
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