Lo scritto affronta la questione dell’ammissibilità della produzione in giudizio di documenti entrati in possesso del litigante in violazione della normativa sulla privacy, sulla quale dottrina e giurisprudenza offrono soluzioni contrastanti. Secondo l’autore, occorre distinguere il contenuto riservato della prova documentale dalle modalità illecite di acquisizione della stessa prima del processo. Con riferimento al primo profilo, la normativa sulla privacy – che è stata peraltro oggetto di un recente intervento normativo – disegna con chiarezza una prevalenza del diritto alla prova sul diritto alla tutela dei dati personali, purché questi siano «necessari» per l’azione o la difesa in giudizio e purché sia rispettato il criterio del «pari rango». Con riferimento al secondo aspetto, invece, la compressione dei diritti fondamentali nella fase di raccolta della prova non risulta accettabile, anche se occorre ammettere che, nel sistema del processo civile, non esiste una sanzione espressa di inutilizzabilità della prova illecita, la quale dovrebbe quindi essere introdotta mediante un intervento additivo della Corte costituzionale. L’autore si concentra quindi su alcune delle ipotesi più discusse di illiceità della prova (acquisizione di corrispondenza altrui, registrazione occulta di conversazioni, realizzazione di fotografie o video a distanza, raccolta segreta di materiale biologico), compiendo alcuni distinguo al fine di delineare i limiti entro i quali siffatte prove documentali possono effettivamente dirsi raccolte in modo illecito. In conclusione, l’autore osserva che il divieto di utilizzazione delle prove illecite debba essere controbilanciato con la previsione di un obbligo processuale di chiarificazione a carico delle parti, il quale può essere ricavato tramite un’interpretazione costituzionalmente orientata dall’attuale sistema positivo.

Diritto alla prova e tutela della privacy nel processo civile

Gradi M.
2019-01-01

Abstract

Lo scritto affronta la questione dell’ammissibilità della produzione in giudizio di documenti entrati in possesso del litigante in violazione della normativa sulla privacy, sulla quale dottrina e giurisprudenza offrono soluzioni contrastanti. Secondo l’autore, occorre distinguere il contenuto riservato della prova documentale dalle modalità illecite di acquisizione della stessa prima del processo. Con riferimento al primo profilo, la normativa sulla privacy – che è stata peraltro oggetto di un recente intervento normativo – disegna con chiarezza una prevalenza del diritto alla prova sul diritto alla tutela dei dati personali, purché questi siano «necessari» per l’azione o la difesa in giudizio e purché sia rispettato il criterio del «pari rango». Con riferimento al secondo aspetto, invece, la compressione dei diritti fondamentali nella fase di raccolta della prova non risulta accettabile, anche se occorre ammettere che, nel sistema del processo civile, non esiste una sanzione espressa di inutilizzabilità della prova illecita, la quale dovrebbe quindi essere introdotta mediante un intervento additivo della Corte costituzionale. L’autore si concentra quindi su alcune delle ipotesi più discusse di illiceità della prova (acquisizione di corrispondenza altrui, registrazione occulta di conversazioni, realizzazione di fotografie o video a distanza, raccolta segreta di materiale biologico), compiendo alcuni distinguo al fine di delineare i limiti entro i quali siffatte prove documentali possono effettivamente dirsi raccolte in modo illecito. In conclusione, l’autore osserva che il divieto di utilizzazione delle prove illecite debba essere controbilanciato con la previsione di un obbligo processuale di chiarificazione a carico delle parti, il quale può essere ricavato tramite un’interpretazione costituzionalmente orientata dall’attuale sistema positivo.
2019
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