Le regioni hanno davanti a sé la prospettiva di un ampio decentramento di competenze, associato a meccanismi di finanziamento che non dovrebbero mettere in discussione un dato storicamente consolidato: a ciascuna realtà verrà garantito un volume di risorse per abitante sostanzialmente indipendente dalla capacità fiscale locale e prevalentemente condizionato da indici di fabbisogno. Rispetto a questo scenario e ai divari territoriali che caratterizzano il paese, le evidenze passate offerte dalle regioni a statuto speciale e a statuto ordinario sembrano indicare le difficoltà di un percorso di convergenza, sia economico che dei livelli di servizi erogati.Si tratta di una conclusione coerente con le analisi e i risultati che emergono dai modelli di crescita basati sulle nozioni di capitale sociale. Cosa accadrà con la concreta attuazione della riforma “federale”? Le regioni a statuto ordinario si avvicineranno all’assetto proprio delle regioni a statuto speciale. Basteranno controlli ed incentivi per evitare che, soprattutto nel mezzogiorno, si ripeta la storia passata, ovvero una situazione in cui anche la più speciale delle autonomie italiane, quella siciliana, ha finito per distinguersi dalle altre solo perché ha più risorse, ma non per questo più sviluppo e migliori servizi? Siamo convinti che al Sud, come suggeriscono taluni autori13, non servano invece progetti e infrastrutture che superino i localismi e che siano in grado di rimettere la parte economicamente più debole del paese dentro una logica di economia globalizzata? Per contro, partendo ancora una volta dall’esperienza delle autonomie speciali, è invece possibile che le regioni del nord sfruttino gli spazi dell’autonomia per accrescere l’efficienza dei loro interventi e incidere ulteriormente sui fattori che alimentano lo sviluppo economico e sociale. Trovare una soluzione in grado di superare i problemi e le perplessità ora menzionate non è semplice. In questo senso crediamo che il disegno di federalismo compiuto e generalizzato rappresenti un obiettivo di medio termine, se riferito all’intero nostro paese. Uno sviluppo istituzionale da condizionare sulla base dei risultati raggiunti e delle autonome capacità di finanziamento. Un modello guidato dalla consapevolezza dell’importanza che riveste il capitale sociale, più che dalla fede nelle risposte meccaniche agli incentivi tipici degli schemi di razionalità dell’homo economicus.

Il federalismo fa bene alle regioni? / Cerea, Gianfranco. - STAMPA. - 90:(2010), pp. 237-255. [10.15168/11572_84174]

Il federalismo fa bene alle regioni?

Cerea, Gianfranco
2010-01-01

Abstract

Le regioni hanno davanti a sé la prospettiva di un ampio decentramento di competenze, associato a meccanismi di finanziamento che non dovrebbero mettere in discussione un dato storicamente consolidato: a ciascuna realtà verrà garantito un volume di risorse per abitante sostanzialmente indipendente dalla capacità fiscale locale e prevalentemente condizionato da indici di fabbisogno. Rispetto a questo scenario e ai divari territoriali che caratterizzano il paese, le evidenze passate offerte dalle regioni a statuto speciale e a statuto ordinario sembrano indicare le difficoltà di un percorso di convergenza, sia economico che dei livelli di servizi erogati.Si tratta di una conclusione coerente con le analisi e i risultati che emergono dai modelli di crescita basati sulle nozioni di capitale sociale. Cosa accadrà con la concreta attuazione della riforma “federale”? Le regioni a statuto ordinario si avvicineranno all’assetto proprio delle regioni a statuto speciale. Basteranno controlli ed incentivi per evitare che, soprattutto nel mezzogiorno, si ripeta la storia passata, ovvero una situazione in cui anche la più speciale delle autonomie italiane, quella siciliana, ha finito per distinguersi dalle altre solo perché ha più risorse, ma non per questo più sviluppo e migliori servizi? Siamo convinti che al Sud, come suggeriscono taluni autori13, non servano invece progetti e infrastrutture che superino i localismi e che siano in grado di rimettere la parte economicamente più debole del paese dentro una logica di economia globalizzata? Per contro, partendo ancora una volta dall’esperienza delle autonomie speciali, è invece possibile che le regioni del nord sfruttino gli spazi dell’autonomia per accrescere l’efficienza dei loro interventi e incidere ulteriormente sui fattori che alimentano lo sviluppo economico e sociale. Trovare una soluzione in grado di superare i problemi e le perplessità ora menzionate non è semplice. In questo senso crediamo che il disegno di federalismo compiuto e generalizzato rappresenti un obiettivo di medio termine, se riferito all’intero nostro paese. Uno sviluppo istituzionale da condizionare sulla base dei risultati raggiunti e delle autonome capacità di finanziamento. Un modello guidato dalla consapevolezza dell’importanza che riveste il capitale sociale, più che dalla fede nelle risposte meccaniche agli incentivi tipici degli schemi di razionalità dell’homo economicus.
2010
Verso quale federalismo?
Trento
Università degli Studi di Trento
9788884433251
Cerea, Gianfranco
Il federalismo fa bene alle regioni? / Cerea, Gianfranco. - STAMPA. - 90:(2010), pp. 237-255. [10.15168/11572_84174]
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