Nel quadro dell’attuale dibattito intorno alla nascita della regia, entro la dialettica delineatasi nel corso degli ultimi anni tra ipotesi della “discontinuità” novecentesca – tutta protesa a far luce sul cosiddetto “salto” registico del XX secolo – e ipotesi della “continuità” professionale – volta a predatare la genesi della prassi e della poetica registica rispetto alla tradizione storiografica in uso collocandola all’altezza del primo emergere dell’industria dello spettacolo agli albori del XIX secolo –, con la relazione La naissance de la mise en scène et l’“opéra”, percorrendo questa seconda via dell’antitesi (inaugurata per l’Italia dagli studi di Roberto Alonge e Franco Perrelli), si è inteso render conto del profilarsi di una professionalità registica in ambito operistico già a partire dagli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento. Lo studio della scena musicale è parso particolarmente rilevante sia in relazione alla complessità organizzativa e produttiva del teatro d’opera – implicante una precoce specializzazione dei mestieri teatrali e una non meno precoce “industrializzazione” del processo creativo – sia per l’influsso da essa esercitato sul codificarsi della sintassi registica tout court; si pensi all’incidenza del modello wagneriano sulla teorizzazione registica tardo ottocentesca o, saltando al capo opposto della parabola storica della regia, a figure di registi-compositori contemporanei come Cristoph Marthaler o Heiner Goebbels. Gli estremi cronologici individuati – 1831-1848 – delimitano un “periodo” intimamente complesso, ma in sé relativamente unitario e coeso, stretto tra l’affermarsi sulle scene musicali dell’egemonia del Grand Opéra di matrice meyerbeeriana per un verso (Robert le diable è del 1831) e il tramontare di un certo mondo imprenditoriale primottocentesco a vantaggio del delinearsi di nuovi sistemi produttivi dell’opera per l’altro (una data storicamente simbolica come il 1848, infatti, si presta probabilmente ad essere assunta come termine post quem di sviluppo di un nuovo equilibrio organizzativo del teatro musicale del XIX secolo fondato sul primo imporsi di un predominio dell’editore e del sistema del repertorio). Entro questa fascia cronologica si sono indagate le relazioni tra tre differenti campi di indagine: il mercato, la drammaturgia musicale e la direzione d’orchestra, visti come tre complementari nuclei di propulsione del linguaggio registico. Di particolare interesse, nella prospettiva degli studi teatrali, è risultata l’analisi del paradigma del direttore d’orchestra, già ufficialmente riconosciuto come figura professionale negli anni Trenta dell’Ottocento. Il direttore d’orchestra concentra su di sé la pratica (di fatto drammaturgico-registica) della concertazione e della scansione temporale dell’opera, ponendosi così come possibile exemplum di una «seconda creazione» (Perrelli), o rilettura creativa della partitura (di taglio registico), capace di sviluppare un forte impatto sul mondo teatrale ottocentesco che ha proprio nella scena musicale uno dei suoi luoghi d’eccezione. Non a caso, a tutt’oggi, la regia d’opera è accidentato terreno di contesa tra direttore d’orchestra e regista propriamente detto. All’interno di questo orizzonte si è cominciato col tentare di dipanare l’intricato groviglio della cronaca scaligera milanese del primo Ottocento. Accanto ad un direttore d’orchestra quale Eugenio Cavallini – attivo continuativamente alla Scala per alcuni decenni – nel principale teatro musicale della capitale del Regno Lombardo-Veneto operano alcuni librettisti-allestitori legati alla tradizione asburgica. Agli inizi del XIX secolo, in questo canone “austriaco”, la pratica drammaturgica (centrale in certa cultura e poetica operistica settecentesca) si è già saldata da tempo con l’esperienza dell’allestimento scenico e con l’esercizio dell’impresa, secondo una linea che va da Da Ponte al Piave della stagione scaligera. Per il periodo preso in esame una figura di un certo interesse si è rivelato essere un “librettista” come Callisto Bassi. Nel quindicennio considerato, lo studio della vita della Scala rivela inoltre l’esistenza di un complesso rapporto tra il mondo dello spettacolo e il potere politico. Per il tramite della Direzione dei Teatri, lo Stato opera sulla scena musicale ben oltre i confini della censura in senso stretto (e burocratico) e non di rado si addentra nello specifico e nel vivo della vera e propria mise en scène, facendosi a sua volta portatore di istanze “registiche”. Nel contempo si è cercato di vagliare il contesto inglese, caratterizzato dalla forte presenza del manager e dal dominio del mercato. Il caso studiato è quello di The Maid of Artois (1836) del compositore Michael William Balfe e del manager-librettista Alfred Bunn, che diresse il Covent Garden e il Drury Lane tra il 1833 e il 1839. L’esperienza di Bunn – da un lato amministratore, con al seguito un apparato stratificato e funzionale, dall’altro drammaturgo – è parsa atta a delineare il legame tra professionismo produttivo dello spettacolo e responsabilità artistico-drammaturgiche. Infine è stata analizzata la prima versione dell’opéra-comique di Hector Berlioz Benvenuto Cellini, andata in scena a Parigi presso l’Académie Royale de Musique nel 1838 e diretta da François-Antoine Habeneck, uno dei padri della direzione d’orchestra in Francia. In occasione del lavoro sul Benvenuto Cellini, Habeneck, sebbene in apparenza sembri ancora legato alla prassi della direzione tradizionale del primo violino, mostra già una spiccata autonomia ed indipendenza e si candida così ad assumere un ruolo di “interprete”/guida, cui è demandata, al di là del compositore, una consistente responsabilità artistica nella gestione dello spettacolo, specie in rapporto ai cantanti.

La naissance de la mise en scène et l'"opéra": le marché, la direction d'orchestre et la dramaturgie musicale (1831-1848)

LONGHI, CLAUDIO
2009-01-01

Abstract

Nel quadro dell’attuale dibattito intorno alla nascita della regia, entro la dialettica delineatasi nel corso degli ultimi anni tra ipotesi della “discontinuità” novecentesca – tutta protesa a far luce sul cosiddetto “salto” registico del XX secolo – e ipotesi della “continuità” professionale – volta a predatare la genesi della prassi e della poetica registica rispetto alla tradizione storiografica in uso collocandola all’altezza del primo emergere dell’industria dello spettacolo agli albori del XIX secolo –, con la relazione La naissance de la mise en scène et l’“opéra”, percorrendo questa seconda via dell’antitesi (inaugurata per l’Italia dagli studi di Roberto Alonge e Franco Perrelli), si è inteso render conto del profilarsi di una professionalità registica in ambito operistico già a partire dagli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento. Lo studio della scena musicale è parso particolarmente rilevante sia in relazione alla complessità organizzativa e produttiva del teatro d’opera – implicante una precoce specializzazione dei mestieri teatrali e una non meno precoce “industrializzazione” del processo creativo – sia per l’influsso da essa esercitato sul codificarsi della sintassi registica tout court; si pensi all’incidenza del modello wagneriano sulla teorizzazione registica tardo ottocentesca o, saltando al capo opposto della parabola storica della regia, a figure di registi-compositori contemporanei come Cristoph Marthaler o Heiner Goebbels. Gli estremi cronologici individuati – 1831-1848 – delimitano un “periodo” intimamente complesso, ma in sé relativamente unitario e coeso, stretto tra l’affermarsi sulle scene musicali dell’egemonia del Grand Opéra di matrice meyerbeeriana per un verso (Robert le diable è del 1831) e il tramontare di un certo mondo imprenditoriale primottocentesco a vantaggio del delinearsi di nuovi sistemi produttivi dell’opera per l’altro (una data storicamente simbolica come il 1848, infatti, si presta probabilmente ad essere assunta come termine post quem di sviluppo di un nuovo equilibrio organizzativo del teatro musicale del XIX secolo fondato sul primo imporsi di un predominio dell’editore e del sistema del repertorio). Entro questa fascia cronologica si sono indagate le relazioni tra tre differenti campi di indagine: il mercato, la drammaturgia musicale e la direzione d’orchestra, visti come tre complementari nuclei di propulsione del linguaggio registico. Di particolare interesse, nella prospettiva degli studi teatrali, è risultata l’analisi del paradigma del direttore d’orchestra, già ufficialmente riconosciuto come figura professionale negli anni Trenta dell’Ottocento. Il direttore d’orchestra concentra su di sé la pratica (di fatto drammaturgico-registica) della concertazione e della scansione temporale dell’opera, ponendosi così come possibile exemplum di una «seconda creazione» (Perrelli), o rilettura creativa della partitura (di taglio registico), capace di sviluppare un forte impatto sul mondo teatrale ottocentesco che ha proprio nella scena musicale uno dei suoi luoghi d’eccezione. Non a caso, a tutt’oggi, la regia d’opera è accidentato terreno di contesa tra direttore d’orchestra e regista propriamente detto. All’interno di questo orizzonte si è cominciato col tentare di dipanare l’intricato groviglio della cronaca scaligera milanese del primo Ottocento. Accanto ad un direttore d’orchestra quale Eugenio Cavallini – attivo continuativamente alla Scala per alcuni decenni – nel principale teatro musicale della capitale del Regno Lombardo-Veneto operano alcuni librettisti-allestitori legati alla tradizione asburgica. Agli inizi del XIX secolo, in questo canone “austriaco”, la pratica drammaturgica (centrale in certa cultura e poetica operistica settecentesca) si è già saldata da tempo con l’esperienza dell’allestimento scenico e con l’esercizio dell’impresa, secondo una linea che va da Da Ponte al Piave della stagione scaligera. Per il periodo preso in esame una figura di un certo interesse si è rivelato essere un “librettista” come Callisto Bassi. Nel quindicennio considerato, lo studio della vita della Scala rivela inoltre l’esistenza di un complesso rapporto tra il mondo dello spettacolo e il potere politico. Per il tramite della Direzione dei Teatri, lo Stato opera sulla scena musicale ben oltre i confini della censura in senso stretto (e burocratico) e non di rado si addentra nello specifico e nel vivo della vera e propria mise en scène, facendosi a sua volta portatore di istanze “registiche”. Nel contempo si è cercato di vagliare il contesto inglese, caratterizzato dalla forte presenza del manager e dal dominio del mercato. Il caso studiato è quello di The Maid of Artois (1836) del compositore Michael William Balfe e del manager-librettista Alfred Bunn, che diresse il Covent Garden e il Drury Lane tra il 1833 e il 1839. L’esperienza di Bunn – da un lato amministratore, con al seguito un apparato stratificato e funzionale, dall’altro drammaturgo – è parsa atta a delineare il legame tra professionismo produttivo dello spettacolo e responsabilità artistico-drammaturgiche. Infine è stata analizzata la prima versione dell’opéra-comique di Hector Berlioz Benvenuto Cellini, andata in scena a Parigi presso l’Académie Royale de Musique nel 1838 e diretta da François-Antoine Habeneck, uno dei padri della direzione d’orchestra in Francia. In occasione del lavoro sul Benvenuto Cellini, Habeneck, sebbene in apparenza sembri ancora legato alla prassi della direzione tradizionale del primo violino, mostra già una spiccata autonomia ed indipendenza e si candida così ad assumere un ruolo di “interprete”/guida, cui è demandata, al di là del compositore, una consistente responsabilità artistica nella gestione dello spettacolo, specie in rapporto ai cantanti.
2009
9788874701070
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