Deindustrializzazione e dismissione hanno interessato città fortemente connotate da una legacy industriale; le soluzioni in atto per un ridisegno urbano e un riuso degli edifici produttivi è il tema su cui stiamo riflettendo, con un gruppo di lavoro del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, con il supporto (da febbraio 2016), di un accordo di ricerca con alcune università americane. Alla Carnegie Mellon di Pittsburgh il 10 maggio scorso si è svolto il seminario RE-Industry. How cities re-shape production/how production re-shape cities che ha visto coinvolti docenti ed esperti di CMU e Polito. Tesi di dottorato e di laurea si stanno interrogando per approfondire la conoscenza e offrire risposte progettuali alla trasformazione dello spazio della produzione; tesisti e dottorandi, attraverso il programma ERASMUS+ e in collaborazione con il centro FULL (nuovo centro interdipartimentale del Politecnico di Torino), hanno svolto le loro ricerche a Pittsburgh e Detroit, due esempi di città della Rust Belt americana, che stanno ricostruendo un’urbanità depauperata dall’abbandono, ma oggi in forte rinnovamento grazie alla presa di coscienza di una dimensione del progetto capace di rinnovare partendo dall’esistente. Nuove forme di lavoro, connotate da una forte a-spazialità determinano una richiesta di architettura che fondi i suoi principi sul riuso, pratica endemica in città come Pittsburgh dove una delle numerose no-profit funge da rivenditore di materiale edilizio (Construction Junction) all’interno del quale anche l’università (CMU) ha inserito un suo laboratorio di ricerca, che si ispira alla filosofia dei makers, coinvolgendo nella formazione giovani delle scuole professionali locali. Città autosussistenti, autorigenerative, diversamente produttive, dove lavoro, produzione e luoghi di vita interagiscono in una dimensione urbana in cui gli spazi sono spesso interscambiabili, brevemente dedicati, appartenenti a costruzioni plasmabili e adattabili, la cui forma assume configurazioni diverse a seconda delle necessità, nello spirito rinnovato del Fun Palace. La ricerca comparativa su casi studio (urban manifacturing, urban vertical farm…), costituisce una base per l’individuazione di soluzioni progettuali efficaci, innovative, non solo nell’uso di tecnologie e sistemi, ma nella visione di un’architettura capace di adattarsi ad una domanda di spazio e forme interattivi e diversamente configurabili. Sperimentazioni progettuali sono state condotte anche nell’ambito dei Project dell’Alta Scuola Politecnica (in sinergia con enti pubblici e aziende) nell’intento di offrire soluzioni per processi rigenerativi di aree improduttive.

Progettare i luoghi della produzione / Ingaramo, Roberta. - ELETTRONICO. - ARCHITETTURA DOCUMENTI E RICERCHE Collana della Società ProArch Società scientifica nazionale del progetto. Docenti ICAR 14 15 16:(2018), pp. 378-381. (Intervento presentato al convegno LA DOMANDA DI ARCHITETTURA LE RISPOSTE DEL PROGETTO, ProArch | Società scientifica nazionale del progetto. Docenti ICAR 14 15 16, tenutosi a Roma nel 29-30 settembre 2017).

Progettare i luoghi della produzione

Roberta Ingaramo
2018

Abstract

Deindustrializzazione e dismissione hanno interessato città fortemente connotate da una legacy industriale; le soluzioni in atto per un ridisegno urbano e un riuso degli edifici produttivi è il tema su cui stiamo riflettendo, con un gruppo di lavoro del Dipartimento di Architettura e Design del Politecnico di Torino, con il supporto (da febbraio 2016), di un accordo di ricerca con alcune università americane. Alla Carnegie Mellon di Pittsburgh il 10 maggio scorso si è svolto il seminario RE-Industry. How cities re-shape production/how production re-shape cities che ha visto coinvolti docenti ed esperti di CMU e Polito. Tesi di dottorato e di laurea si stanno interrogando per approfondire la conoscenza e offrire risposte progettuali alla trasformazione dello spazio della produzione; tesisti e dottorandi, attraverso il programma ERASMUS+ e in collaborazione con il centro FULL (nuovo centro interdipartimentale del Politecnico di Torino), hanno svolto le loro ricerche a Pittsburgh e Detroit, due esempi di città della Rust Belt americana, che stanno ricostruendo un’urbanità depauperata dall’abbandono, ma oggi in forte rinnovamento grazie alla presa di coscienza di una dimensione del progetto capace di rinnovare partendo dall’esistente. Nuove forme di lavoro, connotate da una forte a-spazialità determinano una richiesta di architettura che fondi i suoi principi sul riuso, pratica endemica in città come Pittsburgh dove una delle numerose no-profit funge da rivenditore di materiale edilizio (Construction Junction) all’interno del quale anche l’università (CMU) ha inserito un suo laboratorio di ricerca, che si ispira alla filosofia dei makers, coinvolgendo nella formazione giovani delle scuole professionali locali. Città autosussistenti, autorigenerative, diversamente produttive, dove lavoro, produzione e luoghi di vita interagiscono in una dimensione urbana in cui gli spazi sono spesso interscambiabili, brevemente dedicati, appartenenti a costruzioni plasmabili e adattabili, la cui forma assume configurazioni diverse a seconda delle necessità, nello spirito rinnovato del Fun Palace. La ricerca comparativa su casi studio (urban manifacturing, urban vertical farm…), costituisce una base per l’individuazione di soluzioni progettuali efficaci, innovative, non solo nell’uso di tecnologie e sistemi, ma nella visione di un’architettura capace di adattarsi ad una domanda di spazio e forme interattivi e diversamente configurabili. Sperimentazioni progettuali sono state condotte anche nell’ambito dei Project dell’Alta Scuola Politecnica (in sinergia con enti pubblici e aziende) nell’intento di offrire soluzioni per processi rigenerativi di aree improduttive.
2018
978 88 909054 5 2
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