Il volume è l'ideale continuazione di un percorso scientifico, accademico e personale iniziato parecchi anni fa con la pubblicazione del primo volume di questa serie che vede riuniti intorno ad una riflessione tematica studiosi di discipline diverse e di orientamento culturale differente ma uniti solidamente da un rapporto umano e da un percorso di idee comune. Il tema cui si è inteso affidare questa riflessione è di carattere volutamente generale tale da valere idealmente a racchiudere in un grande cerchio le riflessioni fin qui svolte nei sei volumi che l’hanno preceduto. Una puntualizzazione riteniamo fosse non solo opportuna ma persino obbligata per poter fornire al lettore le chiavi interpretative su cui questo lungo percorso, e quello attuale, hanno fondato e fondono le proprie radici. Il concetto di conflitto è centrale nelle tematiche sociologiche, filosofiche, giuridiche e antropologiche ma, come assai spesso accade per i termini diventati d'uso comune si perde frequentemente il nesso con il significato, la storia, le più diverse interpretazioni, del termine stesso: non è stata nostra intenzione sopperire a questa carenza, consci che un compito siffatto sarebbe di carattere così gravoso e planetario nella discussione scientifica da richiedere forze numericamente maggiori di quelle messe in campo nel presente volume. Eppure non abbiamo inteso privarci di talune proposte che nel panorama scientifico, non solo italiano, riteniamo siano di speciale rilievo oltre che di particolare prestigio, prima fra tutte quella di Paolo A. Rossi, attenta a ricostruire, con la solidità scientifica che è unanimemente riconosciuta all’autore, il rapporto tra crisi di valori e speranza. Una attenzione nuova questa della speranza in riferimento al tema del conflitto: la speranza è un sogno fatti da svegli e, come insegna Platone, nulla vieta di credere che i discorsi che noi facciamo ora siano tenuti nel sogno e quando nel sogno crediamo di raccontare un sogno la somiglianza delle sensazioni nel sogno e nella veglia e addirittura meravigliosa…. Il tempo che noi dormiamo è uguale a quello che siamo desti e nell'uno e nell'altro la nostra anima afferma che solo le opinioni che ha in quel momento presenti sono vere; sicché per un ugual spazio di tempo noi diciamo che sono vere le une come le altre o le sosteniamo con lo stesso vigore; e, lasciando la parola ad Omero, ospite, i sogni sono vari, inspiegabili: non tutti si avverano, purtroppo per gli uomini. Due sono le porte dei sogni inconsistenti: una ha i battenti di corno, l'altra d'avorio: quelli che vengono fuori dal candido avorio, avvolgono di indiani nella mente, parole vane portando; quelli invece che escono fuori dal corno lucido, verità l'incorona se un mortale li vede. Abbiamo creduto che il concetto di conflitto sociale avesse necessità di essere in qualche modo rinfocolato se non proprio rinvigorito, in quanto ad uno straordinario diffondersi, quotidianamente, di conflitti ci pare che non corrisponda un altrettanto diffondersi di riflessioni teoriche per la comprensione di questa sua straordinaria diffusione: è questo il senso delle riflessioni di Bilotta e di Barlassina, tutte incentrate sull’analisi del paradigma e dei paradigmi del conflitto in ambito sociologico e antropologico sociale. Il conflitto assume nel contesto che proponiamo un carattere “neutro, di modalità di azione sociale, non di contrapposizione o di scontro, perché, come insegna Simmel, non è lì a bella posta per essere rimosso ma anzi è l'elemento che preserva il sistema nel suo insieme, istituendo un equilibrio tra le parti che lo compongono così come anche serve a stabilire ed a mantenere l'identità ed i confini delle società e dei gruppi. Al fondo del pensiero di Simmel corre un concetto filosofico, come ha sottolineato Pietro Rossi, il riconoscimento della relatività dell'esperienza della vita umana porta Simmel ad affermare l'impossibilità di andare oltre la vita è ciò che in essa si manifesta, così che in tal modo la relatività designa il carattere assoluto della vita stessa; la vita si avvia a divenire il principe incondizionato dal quale traggono origine tutte le manifestazioni dell'attività dell'uomo e la prospettiva relativistica tende a trasformarsi in una filosofia della vita. Ma questo assoluto che è la vita, per altro verso, non è per noi conoscibile se non come divenire, come conflitto intrinseco alla vita stessa. È questo il senso di una delle frasi più lapidarie e più suggestive di Simmel: la vita è una lotta in senso assoluto, che racchiude in sé il contrasto relativo di guerra e pace, mentre la pace assoluta, e forse essa pure racchiude in sé tale contrasto, rimane il segreto divino. Il luogo del conflitto presenta, inoltre, come specifica Barlassina, una natura ristrettamente geografica e culturale ma rivela, altresì, una connotazione peculiarmente antropologica e, allo stesso tempo, a seconda di come ci si pone dinanzi ai dati analitici, sociologica. Il luogo antropologico e sociologico, tuttavia, possono ma non necessariamente devono coincidere. L’elemento unificante è, tuttavia, il concetto di identità. L’identità può essere rivendicata quale elemento di distinzione culturale, etnica, politica ma sempre e comunque necessità di una alterità ed abbisogna di un confronto serrato tra due fattori che necessariamente, per autoaffermarsi debbono divergere. Probabilmente il concetto in esame potrebbe essere ricondotte alle definizioni di cultura che, nel corso degli studi antropologici, hanno contribuito a descrivere alcuni elementi sui quali far convergere un criterio di unitarietà di un determinato popolo di una etnia o, in ultima analisi di uno Stato o di una nazione. In questa prospettiva si innesta l’apporto di Cappelletti sul conflitto insanabile nel concetto di razza, che parte da una considerazione di Gobineau: la cultura è natura ed è su questo piano che si gioca la partita tra i popoli. Nella riflessione di Cappelletti il mondo non è più mosso dall’intreccio tra libertà umana, volontà divina e insieme delle circostanze in una sorte di gioco nel quale ognuno privilegia uno degli aspetti a seconda del punto di vista prescelto, ma è mosso se non esclusivamente, certo prevalentemente, da una forza che fonda la propria efficacia nel radicarsi nella stessa fisicità dell’uomo. La biologia prende il posto della religione e della cultura per spiegare le differenze tra i popoli; per cui alla logica della modificabilità, per quanto ardua – basti ricordare le sconsolate riflessioni dei padri alle prese con l’evangelizzazione dei selvaggi – si sostituisce la logica della fissità. Nessuno o, forse, pochissimi possono andare contro od oltre la propria natura o, meglio, quella del gruppo di appartenenza. Il razzismo moderno nasce quando la storia naturale appronta gli strumenti scientifici per penetrare dentro la specie umana mettendone in luce la fondamentale disomogeneità e la struttura gerarchica. Sicché solo a una minoranza spetta il requisito della piena umanità. Il concetto di razza designa allora un insieme di tratti fisici, primo fra tutti il colore della pelle, che differenziano i gruppi umani e ne determinano i comportamenti sociali e il grado di civiltà. Nella sua proposta Laura Zavatta invoca l’insecuritas come elemento di conflitto che accompagna l’uomo nel ciclo intero della sua esistenza poiché, come afferma, egli non è autosufficiente (selbständig), non possiede i beni necessari per conservare e migliorare la sua esistenza se non procurandoseli attraverso un sistema più o meno complesso di rapporti con la Natura e con gli Altri. I beni acquisiti con la mediazione della Natura e degli Altri non sono mai, peraltro, definitivamente sicuri, potendo venire a mancare in ogni momento per naturale alterazione e consumazione, perché distrutti colpevolmente o sottratti con l’astuzia o la prepotenza. Di fronte alle minacce dell’insecuritas l’uomo escogita e fa funzionare tecniche capaci di contrastarla e limitarla., Senza le tecniche utili a contenere, limitare o disattivare gli effetti dell’insecuritas, non c’è che insicurezza, inutili sentieri o l’ingens sylva dell’esistenza. Le tecniche di rassicuramento sono allora strumenti e metodi del fare che, nelle modalità storiche determinate da spazi, tempi e costumi diversi, incarnano le esigenze di valore e gli orizzonti di possibilità dell’esistenza dando vita alle Civiltà. L’analisi di Matteo Crippa riguarda uno dei temi più scottanti e più spinosi del panorama internazionale, quello della pirateria in Somalia; le origini della pirateria si perdono nella storia stessa della navigazione. La pirateria è da tempo uno dei soggetti classici del diritto internazionale pubblico nonché del diritto della navigazione e fino a pochi anni fa era considerato come un fenomeno di rilevanza puramente accademica e di scarso interesse nella pratica degli Stati e del diritto internazionale moderno. A fondamento del diritto della navigazione e del commercio marittimo internazionale vi è il cosiddetto principio della libertà dei mari. Tale principio, vero cardine del sistema giuridico alla base dell’utilizzo del mare e dello sviluppo del traffico marittimo, è oggi universalmente considerato come norma consuetudinaria del diritto internazionale e si identifica nella sottoposizione di una nave in navigazione nell’alto mare alla giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera e, corrispettivamente, del divieto da parte di altri Stati di interferire sulla navigazione di tale nave, in tempo di pace. La pirateria, dunque, rileva come un pericolo per la libertà della navigazione, della libera circolazione delle merci e della sicurezza nell’alto mare e come tale lede un interesse collettivo della comunità internazionale. Sin dall’antica Roma, il disprezzo per l’efferatezza dei crimini commessi dai pirati ed in particolare la violenza delle loro azioni portò Cicerone a definire gli stessi come “communis hostis omnium”, legittimando così ogni forma di reazione alla pirateria come un crimine che offende l’intera comunità internazionale e che ne giustifica la punizione da parte di ogni Stato membro della stessa. La moderna codificazione del diritto internazionale in materia di repressione della pirateria, in particolare, ha riaffermato, in eccezione al summenzionato principio della libertà dei mari, la facoltà di ogni Stato che vi abbia interesse a sostituirsi allo Stato di bandiera per l’esercizio di poteri repressivi e di intervento nei confronti di navi sospette di pirateria, in applicazione del principio della giurisdizione universale contro tale crimine. Il saggio di Lorenzo Albertelli è relativo ad una problematica sociale di strettissima attualità che alza quotidianamente l’indice dell’allarme sociale, il femminicidio; Se da un lato si è spezzato l’intollerabile silenzio dell’indifferenza dall’altro una comprensione piena e ragionata del valore scientifico di tale allarme, secondo l’interpretazione di Albertelli, non è certo garantita dai toni sensazionalistici dei media; l’idea non del tutto veritiera, di versare in una fase emergenziale, è, smentita, nel pensiero dell’autore, tanto in riferimento alla condizione della donna in generale nel momento attuale sia dalla sostanziale stabilità nel numero delle vittime. La violenza investe certamente entrambi i sessi eppure la donna, complice il clima culturale che da sempre la accompagna, ne esce tuttavia come la più colpita. Non si può parlare di violenza sulle donne come di un fenomeno occasionale di scarso interesse politico, si tratta della più evidente espressione del potere diseguale tra donne e uomini, di cui il femicidio non è che l’estrema conseguenza. Bruno M. Bilotta

Introduzione

Bilotta B
2014-01-01

Abstract

Il volume è l'ideale continuazione di un percorso scientifico, accademico e personale iniziato parecchi anni fa con la pubblicazione del primo volume di questa serie che vede riuniti intorno ad una riflessione tematica studiosi di discipline diverse e di orientamento culturale differente ma uniti solidamente da un rapporto umano e da un percorso di idee comune. Il tema cui si è inteso affidare questa riflessione è di carattere volutamente generale tale da valere idealmente a racchiudere in un grande cerchio le riflessioni fin qui svolte nei sei volumi che l’hanno preceduto. Una puntualizzazione riteniamo fosse non solo opportuna ma persino obbligata per poter fornire al lettore le chiavi interpretative su cui questo lungo percorso, e quello attuale, hanno fondato e fondono le proprie radici. Il concetto di conflitto è centrale nelle tematiche sociologiche, filosofiche, giuridiche e antropologiche ma, come assai spesso accade per i termini diventati d'uso comune si perde frequentemente il nesso con il significato, la storia, le più diverse interpretazioni, del termine stesso: non è stata nostra intenzione sopperire a questa carenza, consci che un compito siffatto sarebbe di carattere così gravoso e planetario nella discussione scientifica da richiedere forze numericamente maggiori di quelle messe in campo nel presente volume. Eppure non abbiamo inteso privarci di talune proposte che nel panorama scientifico, non solo italiano, riteniamo siano di speciale rilievo oltre che di particolare prestigio, prima fra tutte quella di Paolo A. Rossi, attenta a ricostruire, con la solidità scientifica che è unanimemente riconosciuta all’autore, il rapporto tra crisi di valori e speranza. Una attenzione nuova questa della speranza in riferimento al tema del conflitto: la speranza è un sogno fatti da svegli e, come insegna Platone, nulla vieta di credere che i discorsi che noi facciamo ora siano tenuti nel sogno e quando nel sogno crediamo di raccontare un sogno la somiglianza delle sensazioni nel sogno e nella veglia e addirittura meravigliosa…. Il tempo che noi dormiamo è uguale a quello che siamo desti e nell'uno e nell'altro la nostra anima afferma che solo le opinioni che ha in quel momento presenti sono vere; sicché per un ugual spazio di tempo noi diciamo che sono vere le une come le altre o le sosteniamo con lo stesso vigore; e, lasciando la parola ad Omero, ospite, i sogni sono vari, inspiegabili: non tutti si avverano, purtroppo per gli uomini. Due sono le porte dei sogni inconsistenti: una ha i battenti di corno, l'altra d'avorio: quelli che vengono fuori dal candido avorio, avvolgono di indiani nella mente, parole vane portando; quelli invece che escono fuori dal corno lucido, verità l'incorona se un mortale li vede. Abbiamo creduto che il concetto di conflitto sociale avesse necessità di essere in qualche modo rinfocolato se non proprio rinvigorito, in quanto ad uno straordinario diffondersi, quotidianamente, di conflitti ci pare che non corrisponda un altrettanto diffondersi di riflessioni teoriche per la comprensione di questa sua straordinaria diffusione: è questo il senso delle riflessioni di Bilotta e di Barlassina, tutte incentrate sull’analisi del paradigma e dei paradigmi del conflitto in ambito sociologico e antropologico sociale. Il conflitto assume nel contesto che proponiamo un carattere “neutro, di modalità di azione sociale, non di contrapposizione o di scontro, perché, come insegna Simmel, non è lì a bella posta per essere rimosso ma anzi è l'elemento che preserva il sistema nel suo insieme, istituendo un equilibrio tra le parti che lo compongono così come anche serve a stabilire ed a mantenere l'identità ed i confini delle società e dei gruppi. Al fondo del pensiero di Simmel corre un concetto filosofico, come ha sottolineato Pietro Rossi, il riconoscimento della relatività dell'esperienza della vita umana porta Simmel ad affermare l'impossibilità di andare oltre la vita è ciò che in essa si manifesta, così che in tal modo la relatività designa il carattere assoluto della vita stessa; la vita si avvia a divenire il principe incondizionato dal quale traggono origine tutte le manifestazioni dell'attività dell'uomo e la prospettiva relativistica tende a trasformarsi in una filosofia della vita. Ma questo assoluto che è la vita, per altro verso, non è per noi conoscibile se non come divenire, come conflitto intrinseco alla vita stessa. È questo il senso di una delle frasi più lapidarie e più suggestive di Simmel: la vita è una lotta in senso assoluto, che racchiude in sé il contrasto relativo di guerra e pace, mentre la pace assoluta, e forse essa pure racchiude in sé tale contrasto, rimane il segreto divino. Il luogo del conflitto presenta, inoltre, come specifica Barlassina, una natura ristrettamente geografica e culturale ma rivela, altresì, una connotazione peculiarmente antropologica e, allo stesso tempo, a seconda di come ci si pone dinanzi ai dati analitici, sociologica. Il luogo antropologico e sociologico, tuttavia, possono ma non necessariamente devono coincidere. L’elemento unificante è, tuttavia, il concetto di identità. L’identità può essere rivendicata quale elemento di distinzione culturale, etnica, politica ma sempre e comunque necessità di una alterità ed abbisogna di un confronto serrato tra due fattori che necessariamente, per autoaffermarsi debbono divergere. Probabilmente il concetto in esame potrebbe essere ricondotte alle definizioni di cultura che, nel corso degli studi antropologici, hanno contribuito a descrivere alcuni elementi sui quali far convergere un criterio di unitarietà di un determinato popolo di una etnia o, in ultima analisi di uno Stato o di una nazione. In questa prospettiva si innesta l’apporto di Cappelletti sul conflitto insanabile nel concetto di razza, che parte da una considerazione di Gobineau: la cultura è natura ed è su questo piano che si gioca la partita tra i popoli. Nella riflessione di Cappelletti il mondo non è più mosso dall’intreccio tra libertà umana, volontà divina e insieme delle circostanze in una sorte di gioco nel quale ognuno privilegia uno degli aspetti a seconda del punto di vista prescelto, ma è mosso se non esclusivamente, certo prevalentemente, da una forza che fonda la propria efficacia nel radicarsi nella stessa fisicità dell’uomo. La biologia prende il posto della religione e della cultura per spiegare le differenze tra i popoli; per cui alla logica della modificabilità, per quanto ardua – basti ricordare le sconsolate riflessioni dei padri alle prese con l’evangelizzazione dei selvaggi – si sostituisce la logica della fissità. Nessuno o, forse, pochissimi possono andare contro od oltre la propria natura o, meglio, quella del gruppo di appartenenza. Il razzismo moderno nasce quando la storia naturale appronta gli strumenti scientifici per penetrare dentro la specie umana mettendone in luce la fondamentale disomogeneità e la struttura gerarchica. Sicché solo a una minoranza spetta il requisito della piena umanità. Il concetto di razza designa allora un insieme di tratti fisici, primo fra tutti il colore della pelle, che differenziano i gruppi umani e ne determinano i comportamenti sociali e il grado di civiltà. Nella sua proposta Laura Zavatta invoca l’insecuritas come elemento di conflitto che accompagna l’uomo nel ciclo intero della sua esistenza poiché, come afferma, egli non è autosufficiente (selbständig), non possiede i beni necessari per conservare e migliorare la sua esistenza se non procurandoseli attraverso un sistema più o meno complesso di rapporti con la Natura e con gli Altri. I beni acquisiti con la mediazione della Natura e degli Altri non sono mai, peraltro, definitivamente sicuri, potendo venire a mancare in ogni momento per naturale alterazione e consumazione, perché distrutti colpevolmente o sottratti con l’astuzia o la prepotenza. Di fronte alle minacce dell’insecuritas l’uomo escogita e fa funzionare tecniche capaci di contrastarla e limitarla., Senza le tecniche utili a contenere, limitare o disattivare gli effetti dell’insecuritas, non c’è che insicurezza, inutili sentieri o l’ingens sylva dell’esistenza. Le tecniche di rassicuramento sono allora strumenti e metodi del fare che, nelle modalità storiche determinate da spazi, tempi e costumi diversi, incarnano le esigenze di valore e gli orizzonti di possibilità dell’esistenza dando vita alle Civiltà. L’analisi di Matteo Crippa riguarda uno dei temi più scottanti e più spinosi del panorama internazionale, quello della pirateria in Somalia; le origini della pirateria si perdono nella storia stessa della navigazione. La pirateria è da tempo uno dei soggetti classici del diritto internazionale pubblico nonché del diritto della navigazione e fino a pochi anni fa era considerato come un fenomeno di rilevanza puramente accademica e di scarso interesse nella pratica degli Stati e del diritto internazionale moderno. A fondamento del diritto della navigazione e del commercio marittimo internazionale vi è il cosiddetto principio della libertà dei mari. Tale principio, vero cardine del sistema giuridico alla base dell’utilizzo del mare e dello sviluppo del traffico marittimo, è oggi universalmente considerato come norma consuetudinaria del diritto internazionale e si identifica nella sottoposizione di una nave in navigazione nell’alto mare alla giurisdizione esclusiva dello Stato di bandiera e, corrispettivamente, del divieto da parte di altri Stati di interferire sulla navigazione di tale nave, in tempo di pace. La pirateria, dunque, rileva come un pericolo per la libertà della navigazione, della libera circolazione delle merci e della sicurezza nell’alto mare e come tale lede un interesse collettivo della comunità internazionale. Sin dall’antica Roma, il disprezzo per l’efferatezza dei crimini commessi dai pirati ed in particolare la violenza delle loro azioni portò Cicerone a definire gli stessi come “communis hostis omnium”, legittimando così ogni forma di reazione alla pirateria come un crimine che offende l’intera comunità internazionale e che ne giustifica la punizione da parte di ogni Stato membro della stessa. La moderna codificazione del diritto internazionale in materia di repressione della pirateria, in particolare, ha riaffermato, in eccezione al summenzionato principio della libertà dei mari, la facoltà di ogni Stato che vi abbia interesse a sostituirsi allo Stato di bandiera per l’esercizio di poteri repressivi e di intervento nei confronti di navi sospette di pirateria, in applicazione del principio della giurisdizione universale contro tale crimine. Il saggio di Lorenzo Albertelli è relativo ad una problematica sociale di strettissima attualità che alza quotidianamente l’indice dell’allarme sociale, il femminicidio; Se da un lato si è spezzato l’intollerabile silenzio dell’indifferenza dall’altro una comprensione piena e ragionata del valore scientifico di tale allarme, secondo l’interpretazione di Albertelli, non è certo garantita dai toni sensazionalistici dei media; l’idea non del tutto veritiera, di versare in una fase emergenziale, è, smentita, nel pensiero dell’autore, tanto in riferimento alla condizione della donna in generale nel momento attuale sia dalla sostanziale stabilità nel numero delle vittime. La violenza investe certamente entrambi i sessi eppure la donna, complice il clima culturale che da sempre la accompagna, ne esce tuttavia come la più colpita. Non si può parlare di violenza sulle donne come di un fenomeno occasionale di scarso interesse politico, si tratta della più evidente espressione del potere diseguale tra donne e uomini, di cui il femicidio non è che l’estrema conseguenza. Bruno M. Bilotta
2014
88-14-18293-0
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