Zitiervorschlag: Cesare Frasponi (Hrsg.): "Lezione CCCXLV", in: Il Filosofo alla Moda, Vol.6\345 (1730), S. 262-271, ediert in: Ertler, Klaus-Dieter / Fuchs, Alexandra (Hrsg.): Die "Spectators" im internationalen Kontext. Digitale Edition, Graz 2011- . hdl.handle.net/11471/513.20.4773 [aufgerufen am: ].


Ebene 1►

Lezione cccxlv.

A speculativi sopra la Eternità anteriore.

Zitat/Motto► Ipsa quoque assiduo labuntur tempora motù
Non secus ac flumen, neque enim consistere flumen,
Nec levis hora potest: sed ut unda impellitur unda,
Urgeturque eadem veniens, urgetque priorem.
Tempora sic fugiunt pariter, pariterque sequntur,
Et nova sunt semper. Nam quod suit ante relictum est;
Fitque quod haud fuerat: momentaque cuncta novantur.

Ovid. Met. L. XV. 179. ◀Zitat/Motto

Ebene 2► Non rimiriamo lo spazio infinito, come un estensione senza circonferenza; e la eternità, o la infinita Durazione, come una Li-[263]nea, che non ha ne principio, ne fine. Nelle nostre speculazioni, sopra lo spazio infinito, rimiriamo il luogo, dove siamo come un centro di tutta la estensione, che ci attornia. Nelle nostre speculazioni sopra la Eternità, consideriamo il tempo, che ci è presente come il mezzo, che divide tutta la Linea in due parti uguali. Da questo nasce, che varj spiritosi Autori, paragonano il tempo presente ad un Istmo, o ad un colle di terra, che s’ innalza nel mezzo d’ un vasto Oceano senza limiti, che lo chiudano.

La Filosofia, o più tosto il sentimento commune, distingue la Eternità, in due eternità, cioè nella passata, e nella ventura, che si chiamano in termini delle scuole: Æternitas a parte ante, & Æternitas, a parte post. Ma queste parole latine non ne danno altra idea, se non quella, che ho già espressa in Italiano. Ciascheduna di queste Eternità ha un capo, cioè per servirmi [264] d’ altra espressione; la prima ha fine senza principio, la seconda ha principio senza fine.

Esamineremo quì la passata, e riserberemo per un’altra volta la ventura. La natura di questa prima Eternità è impercettibile alla mente umina. La ragione ci dimostra, ch’ ella è stata, ma non sa formarne veruna idea, che non sia piena di assurdità, e d’ inconvenienti. Ci è impossibile l’avere altra nozione d’ una Durazione passata, se non che è stata una volta presente; Ma tutto ciò, che è stato una volta presente ha una certa distanza na noi; e tutto ciò che ha una certa distanza da noi, per quanto sia lontano non puole mai essere la Eternità. La Nozione pure d’ una Durazione passata, porta d’ essere stata una volta presente, mentre la idea di questa attualmente racchiude la idea dell’altra. Vi è dunque una impenetrabile profondità all’ intelletto umano: e contradiciamo a noi medesi-[265]mi subito, che vogliamo formarene qualche idea.

Se bene s’internassimo in questa materia, vedremmo che tutte le nostre difficoltà, nel proposito nascono da questa sola ragione, che cioè non possiamo avere altra idea d’ alcuna sorta di Durazione, se non quella per cui esistiamo noi stessi, con tutte le altre cose create; una Durazione, cioè successiva, formata del passato, del presente, dell’avenire. Non vi è niente che esista in questa maniera, tutte le di cui parti della sua esistenza non sieno state una volta attualmente presenti, e che per conseguenza non possa essere misurata da qualche numero di anni. Possiamo salire in alto, quanto vogliamo, e formarci una idea di questa ventura eternità, aggiugnendo millioni d’anni ad altri milioni, senza poter arrivare ad una sorgente della Durazione, o a qualche principio della Eternità. Benche vi siano molte altre prove di que-[266]sta grande verità, non credo ne dobbiamo trascurare alcuna di quelle, che ci vengono scuoperte dal lume della ragione, sovra tutto, quando se ne ritrova qualcheduna fatta valere da celebri Autori, e pare convincente a che si dà la pena di esaminarla.

Dopo avere considerata la Eternità passata giusta la migliore idea che possiamo formarcene, produrrò quì i diversi Punti, che il lume della Ragione ci detta, e che si ponno riguardare come un simbolo di qualche Filosofo sù questa grave difficoltà.

I. È certo che nissuna cosa ha potuto fare se medesima, bisognerebbe, che avesse operato prima di essere, il che implica contradizione.

II. Tutto ciò che essiste, nella maniera delle cose create, o giusta le nozioni, che abbiamo della esistenza non puol’ essere stato ab eterno.

III. Ne siegue da questo, che vi [267] de’ essere stata qualche cosa ab eterno.

IV. Fa di mestieri dunque, che questa cosa eterna sia il grande Autore della natura, l’Anicho de’ giorni, che ritrovandosi in una infinita distanza da tutte le cose create nelle sue perfezioni, esiste in tutt’altra maniera, da quella, che possiamo immaginarsi.

Sò che molti scolastici, i quali vorrebbono comparire di non essere all’oscuro di niente, pretendono spiegare la maniera, con cui Dio esiste quando ci dicono, che racchiude una durazione infinita ad ogni momento, che la eternità è un Punto fisso in lui. Punctum stans, o pure un infinito istante, che in riguardo alla sua esistenza, non vi è niente, che sia passato, o venturo.

Per me considero tali proposizioni, come parole, alle quali non si attacca veruna idea; parmi sarebbe meglio confessare la propria ignoranza dell’inventare [268] Dogmi, che niente significano, o piu tosto si contradicono. Non possiamo avere abbastanza contegno nelle nostre ricerche, quando meditiamo sopra chi è attorniato da tanta gloria e da tante perfezioni, ed è la sorgente, e la origine di tutte le cose. Riconosciamo dunque con profonda umiltà, che sicome necessariamente vi dè essere qualche essere ab eterno, così fà di mestieri, che questo essere esista in maniera, a noi incomprensibile, mentre nissun essere puol’ essere stato ab eterno, giusta la idea, che noi abbiamo della esistenza. La rivelazione conferma ciò che la ragione ci detta, quando mostra, che Dio è lo stesso jeri, e oggi, e che sarà eternamente; ch’ egli e l’Alpha, e l’Omega, il principio el fine; che mille anni sono dinanzi a lui, come un giorno, ed un giorno come mille anni. Tutte queste, ed altre simili espressioni c’ insegnano, che la sua esistenza, in riguardo al Tempo, o alla Durazione, è dif-[269]ferentissima da quella delle sue Creature, e che per conseguenza, e impossibile il formarcene alcuna idea di ciò che ella è.

Nella prima rivelazione, che sè del suo Essere, si nomò egli medesimo. Io sono chi sono. Ego sum qui sum; e quando Mose’ volle sapere a nome di chi doveva presentare la sua Ambasciata presso Faraone gli ordinò di esporgli, che chi è mi ha mandato: qui est misit me ad te, di maniera che il Creatore dell’universo pare escluda con questo ogni altra cosa d’ una reale esistenza, e si distingua dalle sue Creature, come il solo Essere, che realmente, e di fatto esista. L’antica idea de’ Platonici, ricavata dalle loro speculazioni sopra la Eternità, pare si accordi colla rivelazione Divina. Non si da cosa, dicono, la di cui esistenza sia formata di passato presente, e futuro, che realmente esista. Tale essistenza successiva che svanisce, ella è più tosto una ombra di essisten-[270]za, o qualche cosa che le rassomiglia, di quello sia in se Essistenza. Quello solo propriamente esiste, la di cui essistenza è sempre presente, quello, cioè, che essiste nella più perfetta maniera, della quale non ne abbiamo veruna idea.

Terminerò questa lezione, con una utilissima riflessione. Possiamo noi mai abbastanza umigliarci dinanzi al nostro Creatore, la di cui Bontà, e Sapienza inessabili, hanno ritrovato il mezzo di communicarla esistenza a nature limitate, ed a cose, nelle quali non era necessaria la esistenza? Possiamo noi mai dimostrargli bastevole gratitudine, particolarmente, quando consideriamo, ch’ egli godea in se medesimo ab eterno, una perfettissima Beatitudine? Dov’è l’uomo, che possa rifflettere sopra l’essere escito dal niente, sopra l’essere stato fatto una ragionevole creatura, ed in poche parole, sopra l’essere stato reso partecipe della essistenza, e di una specie d’eternità, senza rimanere op-[271]presso sotto il peso dell’ammirazione, e senza spandersi in lodi, e in rendimenti di grazie? Bisogna confessare, che questo è un pensiero troppo vasto per la mente umana, e che è più proprio a trattenerci nel segreto della Divozione, o nel silenzio dell’animo, che ad esprimersi colle nostre parole. Il supremo monarca dell’universo non ci ha date facoltà capaci di lodare e magnificare una sì eccessiva Bontà. Con tutto ciò abbiamo motivo di consolarci, mentre in tutta la eternità saremo occupati ad un opra, che mai sapremo finire. ◀Ebene 2 ◀Ebene 1